Recensioni : La Signora Dalloway de Virginia Woolf

La signora Dalloway disse che i fiori sarebbe andata a comprarli lei. Inizia così la lunga giornata di Clarissa, alle 10 del mattino di un giorno d’estate, in cui avrebbe dato la sua festa. La signora Dalloway è famosa per le sue feste eleganti dove partecipano i personaggi più illustri della burocrazia londinese; quella sera, forse, sarebbe passato addirittura il primo Ministro. Esce di casa Clarissa, per recarsi a Bond Street per prendere i fiori, e tutto quello si intuisce sulla protagonista dal’incipit – donna sulla cinquantina, bella ed elegante, superficiale e mondana – crolla, perché l’autrice ci butta immediatamente nel suo flusso di coscienza (stream of consciousness) fluido ed affascinante. Simile alla sensazione di viaggiare con la mente mentre si passeggia per le strade, lo scorrere nella mente di Clarissa è un insieme di ricordi passati e presenti, saltando dai vecchi amori alle amicizie di un tempo fino ai preparativi della festa. Un fiume interrotto solo dal rintocco del Big Ben che ci riporta alla realtà, ora dopo ora, ricordando a Clarissa di rammendare il vestito, sistemare i fiori, prepararsi per l’evento.

Minuto dopo minuto, strada dopo strada, ci si imbatte nei pensieri di passanti ed amici, come nella mente di Peter Walsh, in passato legato sentimentalmente a Clarissa e il loro incontro ci introduce nella loro vecchia intimità, fatta soprattutto di chiacchierate e discussioni, litigi sull’inadeguatezza dell’una e sulle critiche dell’altro. Eppure si amavano, e questo è per Clarissa e Peter motivo di costante rimpianto, perché lei ha sposato Richard Dalloway, diventando sempre più la signora Dalloway e sempre meno Clarissa.